Sono nate grazie all’impegno di singoli medici e amministratori locali, perciò non esiste un elenco di tutte le realtà di Cohousing in ambito psichiatrico oggi attive in Italia.
Elenchiamo alcune tra le più significative. L’esperienza più antica è a Triste, prima città a chiudere un manicomio, quello di cui era direttore Franco Basaglia: qui il Cohousing è cominciato nel ’75 e oggi la “regola” della residenza psichiatrica sono appartamenti di meno di 6 persone.

Nel distretto di Torino 1 c’è l’esperienza più vasta. 60 gruppi appartamento con diversi livelli di assistenza, e 150 persone che in seguito sono andate a vivere da sole. A Trento ci sono le sperimentazioni più innovative – come la pratica di intestare l’affitto ai pazienti stessi per fornirne la responsabilità, ma anche l’idea di promuovere la convivenza dei pazienti psichiatrici con rifugiati e richiedenti asilo politico, per andare incontro a diverse necessità-.
Nel centro-Italia c’è l’esperienza rivoluzionaria della Rete Toscana Utenti Salute Mentale, i cui membri hanno costituito una cooperativa che gestisce gruppi appartamento a Massa-Carrara e a Pisa e crea lavoro.
Il Cohousing è poi sperimentato a Roma, Ciampino (Roma), Bologna, Termoli (IS), e Bergamo. In Basilicata nel ’78 ci fu la prima esperienza nel centro-sud Italia di una struttura residenziale alternativa al manicomio: oggi sono 3 i gruppi appartamento in provincia di Matera nati 10 anni fa su iniziativa della cooperativa “Progetto Popolare”. In Sicilia, a Caltagirone (CT) sono nati 4 gruppi appartamenti grazie a un progetto lavorativo di produzione agricola finanziato dall’Unione Europea 10 anni fa, ma che prosegue ancora oggi.

(Altreconomia, uscita n. 153 ottobre 2013)